Storia di un amore improvviso, prezioso, incontrollato e tagliente

Elio sapeva benissimo quello che avrebbe trovato oltre la porta. Era tutto quello che voleva. Era lo scopo, il fine di tutti i suoi pensieri e delle preoccupazioni degli ultimi mesi eppure, o forse per questo, titubava. Con la mano sudata stringeva la maniglia fredda, cercando dentro di sè il coraggio di compiere quest’ultimo passo. I battiti del cuore gli pulsavano nelle orecchie così forte da fargli temere che qualcun altro li potesse sentire. E questo non doveva accadere. Assolutamente.
Aveva immaginato quel momento mille volte, prospettando ogni possibile scenario per non trovarsi impreparato. Eppure adesso, ora che ci era arrivato, ora che un semplice diaframma di legno lo separava dal suo obiettivo, si sentiva frenato, impaurito, incapace di proseguire.

Elio aveva quarant’anni. Pochi amici, nessuna relazione seria e da qualche tempo nessun lavoro, se lavoro si poteva considerare lo star seduto in una guardiola, otto ore al giorno, cinque giorni alla settimana, con l’unica incombenza di premere un tasto. Da vent’anni. In realtà i tasti erano due. Tasto verde per aprire il cancello e tasto rosso per chiuderlo, ogni volta che un automobile, un camion o una bicicletta dovevano entrare o uscire dall’azienda. Pubblica ovviamente. Quale ditta privata avrebbe pagato una persona per far questo, solo questo tutto il giorno? Ma anche le strutture pubbliche si indispettiscono se per giorni non ti presenti al lavoro e nemmeno ti adoperi per farlo almeno apparire. Così, la sua mansione, che una telecamera e un software nemmeno troppo sofisticato avrebbero potuto svolgere altrettanto egregiamente, fu assegnata ad un nuovo addetto. La lettera di licenziamento, recapitata a casa sua, finì direttamente nel sacco dei rifiuti. Nulla aveva più importanza per lui, niente al di fuori di quello che stava compiendo adesso.

Ruotò piano la maniglia, e la porta, con un leggero schiocco metallico, si aprì.
Quello che vide non avrebbe dovuto sorprenderlo, eppure per un attimo si bloccò, con lo sguardo fisso e incapace di proseguire.
Lo sguardo della donna sembrava quasi esprimere risentimento per quell’improvvisa intrusione, per quell’arrivo inaspettato; ma lui sapeva che non era così. Lei lo stava aspettando, ne era sicuro.

L’aveva vista per la prima volta su un giornale, sfogliato distrattamente durante uno dei suoi lunghissimi e noiosi turni di lavoro. Una di quelle riviste ricche di notizie che lo lasciavano assolutamente indifferente, lasciata probabilmente dal collega del turno precedente. In prima pagina si gioiva perché la soubrette del momento aveva trovato il vero amore, mentre il suo ex, cercava tra le braccia di una collega soddisfazioni che sul campo da calcio faticava a trovare. Pagine e pagine di pose studiate, foto ritoccate e scoop inventati, tra spacchi, capezzoli e camicette sbottonate ad arte, costumi galeotti e altre colossali e inutili idiozie. E improvvisamente, a pagina 23, lei. “Un pietra preziosa”, fu il primo pensiero che affiorò nella mente di Elio. Un rubino, finito chissà come, tra tutta quell’immondizia mediatica e l’elegante abito rosso che la donna indossava, rafforzò quell’immagine.
Rimase immobile a guardarla, trattenendo il fiato, emozionato e quasi sopraffatto dalla bellezza di quella sconosciuta, alla quale volle dare un nome, per poterla sognare, chiamare e forse amare: Rubina.
Rubina, Rubina Rubina, quel nome risuonava e rimbalzava nella sua testa e nulla aveva più importanza, nemmeno il camion che voleva uscire e cercava di ottenere l’attenzione di Elio suonando il clacson.

Fu allora che colse nello sguardo di lei, che lo guardava dalla pagina 23, un segnale, una disperata richiesta di aiuto. L’intimità che si era creata tra di loro, semplicemente grazie a quel nome inventato, gli permise di capire che quella donna era in pericolo, era prigioniera e che solo lui avrebbe potuto salvarla. Scattò in piedi, strappò la pagina della rivista e se la mise in tasca. Pigiò, per l’ultima volta nella sua vita, il pulsante verde che liberò il camion, e se ne andò, lasciando la porta aperta.

Dopo mesi di ricerche, di indagini e appostamenti, riuscì infine a trovarla. La seguì, di nascosto, nei luoghi, dove scoprì, veniva portata sempre accompagnata e controllata a vista. Non fu facile trovare uno spiraglio, una falla in quell’apparato di controllo che la circondava. Una occasione, pensava, mi basta una occasione sola. Poi, finalmente, durante una breve permanenza di lei al Western Hotel, quell’occasione arrivò.

Si fece coraggio, avvicinandosi piano senza distogliere lo sguardo, silenzioso ed estasiato. Si fermò tanto vicino da poter scorgere alcune piccole imperfezioni sul volto di Rubina che ne aumentavano, se possibile, la bellezza. Tanto vicino da poterne percepire l’odore. Ebbe l’impulso di toccare quella meraviglia, per convincersi che era tutto vero, che non era un sogno ma si trattenne. Ora, si disse, ora o mai più.

Il taglierino apparve tra le sue dita, affilatissimo, scintillante.

Con la facilità di un bisturi affondò, docile, nella tela. Quattro tagli precisi a ridosso della cornice ed il dipinto si afflosciò tra le sue mani, esausto, vinto.
Arrotolò la tela con cura nascondendola sotto la giacca. Fece per uscire, ma si fermò dopo pochi passi. Tornò indietro, estrasse dalla tasca la pagina strappata dalla rivista, ormai ridotta ad un brandello consumato per tutte le volte che l’aveva rigirata tra le mani e la sistemò con cura al posto del dipinto. Un piccolo indizio per gli investigatori, pensò, concedendosi un impercettibile sorriso.

Poi, con passo sicuro, si avviò verso l’uscita, confondendosi tra gli ospiti dell’hotel.


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