(Dalla storia precedente : "... intanto a Pergine, in località Paludi, uno strano via vai di camion ed operai che scaricavano divanetti, casse acustiche e fari davanti a un capannone in cemento fecero nascere in noi il sospetto che qualcosa di grosso stava per succedere... leggi la prima parte  leggi la seconda parte)
In realtà, acquistavi allo stesso prezzo di dettaglio molta più roba di quanta te ne servisse

Il capannone ospitava sul lato sinistro uno dei primi discount locali, il C4, che vendeva alimentari rigorosamente a lunga conservazione ancora imballati, esposti su altissimi scaffali, tanto che avevi l’illusione di comprare all’ingrosso facendo un ottimo affare.
In realtà, acquistavi allo stesso prezzo di dettaglio molta più roba di quanta te ne servisse. C’era un frenetico viavai di gente che caricava in auto enormi quantità di salsa, pasta, tonno, olio, carta igienica e farina. Una situazione grottesca che avremmo rivissuto altrettanto ingiustificatamente in epoca covid. Tutto era grande là dentro, esagerato. Niente fronzoli, niente bancone degli affettati, niente “uomo del pane”.

Ma era nell’altra parte del capannone che dalla fine del 1978 stava accadendo qualcosa di davvero magico. Dietro pareti insonorizzate e vetrate oscurate da spessi tendaggi, emetteva i primi vagiti il “Paradisi Star”, la più grande discoteca del triveneto. Di questi luoghi non sapevamo praticamente nulla, né ci interessavano. Giravamo in motorino, giocavamo a pallone e ogni tanto andavamo al cinema. Trascorrevamo la maggior parte del nostro tempo all’aperto tra la vetta della Marzola e il lago di Caldonazzo, che per noi era il lago di San Cristòfol. Le radio libere di allora, RTT, Dolomiti, Onda Azzurra, Valsugana Stereo, erano la nostra colonna sonora tessuta in gran parte da Celentano Cutugno e Tozzi ma con perle di De Gregori, Ivan Graziani, Finardi, Bennato, Fossati, De Andrè. La maggior espressione della musica da discoteca era Gioca Jouer. Per ascoltare i Deep Purple, i Led Zeppelin o i Jethro Tull bisognava andare a casa del Guido Guidolli che aveva l’impianto “Stereo”. E ogni tanto lo facevamo.

Così, la neonata discoteca all’inizio non ci incuriosì più di tanto, finché una domenica pomeriggio notammo una sospetta processione di ragazzi, ma soprattutto di ragazze, che percorrevano a piedi la vecchia Statale 47 per infilarsi oltre le porte di quello che gli anziani del paese chiamavano con un misto di sospetto e timore “el Gamber”e poi l’Ambaradàn” .

Le ragazze del mio paese erano sparite, opportunamente ritirate dai genitori più o meno da quando avevamo smesso di considerarle soltanto dei maschietti con le gonne e i soliti contatti dei giochi di strada, fatti di zuffe, abbracci e solletico, iniziavano a procurarci nuove e sconosciute sensazioni. Le avremmo riviste molti anni dopo, già promesse spose altrui.

…camminavano abbracciate

Così a scopo puramente scientifico decidemmo di approfondire la questione e tenemmo sotto controllo la zona, scoprendo che ogni domenica pomeriggio, scaricati da inbus corriere e treni, frotte di nostri coetanei percorrevano la vecchia Statale 47 in file rumorose ed allegre. Le ragazze erano tantissime! E ridevano, camminavano abbracciate ma soprattutto, fatto sensazionale, parlavano con i ragazzi e addirittura li toccavano e i ragazzi parlavano con loro, come parlassero con altri maschi e questa cosa mi parve subito stupenda. Poi tutti assieme sparivano nelle viscere del Gamber. Lo studio scientifico aveva avuto successo. Ora dovevamo assolutamente entrare a far parte di questo mondo misterioso.

Il percorso di avvicinamento fu lento e complesso. Per incominciare basta barbiere. I capelli dovevano essere lunghi e lisci e qui mi si presentò il primo problema. Allora avevo tantissimi capelli (sic) e molto grossi, quindi farli crescere significava dar vita ad una criniera ribelle ma soprattutto inguardabile. Per domare la chioma alla sera mi bagnavo i capelli e dormivo con in testa il berretto dello sci club Panarotta infeltrito e quindi strettissimo. L’effetto liscio durava qualche ora poi pian piano l’ingestibile crine riprendeva vigore e tornavo ad essere Napo Orso Capo ma senza moto invisibile.

Fonghi


Poi dovevamo cambiare il nostro abbigliamento che si uniformò a quello di tutti gli altri frequentatori, comunemente chiamati “fonghi”, per via credo della capigliatura che ricordava vagamente una capocchia micologica. Spazio quindi ai jeans che stavano fortunatamente perdendo la zampa di elefante ( quanti distrutti dalla catena delle biciclette…) per divenire sempre più stretti e corti, poi camicia bianca molto ampia con collo alla coreana o maglione. Ai piedi le Clark d’inverno e le espadrillas d’estate.
Purtroppo di pari passo alle zampe di elefante, anche le minigonne che fino alla fine degli anni 70 spopolavano, andavano allungandosi e quindi le ragazze vestivano grosso modo alla stessa maniera dei maschi. Sul lato mezzi di locomozione eravamo ancora lontani. I fonghi arrivavano in Vespa e i più grandi con la Dyane 6, il 2 Cavalli o, massimo della goduria con lo Squalo. Così lasciavamo i nostri motorini a debita distanza ed arrivavamo a piedi unendoci alla marea dei “zìtadini“.

Ci volle del tempo, ma alla fine, con le nostre tremilalire in mano e il cuore che batteva all’impazzata, una domenica pomeriggio ci presentammo all’ingresso del Paradisi Star, pronti a farci inghiottire dal vortice della Disco Music.

Ancora non lo sapevamo, ma non avremmo rivisto la luce del sole domenicale per i prossimi 5 anni.

(continua…)

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3 pensieri su “Tutti al Namber

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