Alle differenze di classe dettate dalla bacanitudine di cui parlerò tra qualche giorno, si aggiungeva quella più marcata e invalicabile del genere. Nei primi anni di vita, per motivi a noi sconosciuti o eri en bèl popo o na bèla popa. A noi non importava un granché, il nostro compito primario era mangiare, perché vivevamo nel boom economico e le mamme ci ingozzavano “perchè adès ghe n’è” ( perché adesso che n’è ), cosa affatto scontata solo pochi anni prima.
Così, belli cicciotti, affrontavamo rotolando quei primi anni in società all’asilo, mangiando minestrina e formaggini con un contrassegno cucito sul grembiulino. E fu proprio quel grembiulino a far nascere in noi un certo sospetto. Si stava delineando una certa distinzione, perché qualcuno lo aveva azzurro e qualcun altro rosa, e pareva che quel rosa calzasse molto meglio, che fosse sempre più pulito e stirato e che donasse una certa grazia in chi lo indossava. Quello azzurro invece, sembrava sempre sgualcito, mancava sempre un’asola o avanzava un bottone e le varie “patacche” che lo ornavano come medaglie al valore, facevano sembrare gli”azzurri” più dei reduci dalla Crociata dei Pezzenti che degli asilòti. Perplessi e un po’ più snelli, in pochi anni assurgevamo comunque alla superiore categoria dei matelòti e matelòte pronti a varcare le porte delle scuole elementari.
Qui, nonostante il grembiule uguale per tutti, la perplessità diventava certezza, e quello che notavamo dentro la scuola era suggellato da quello che accadeva attorno a noi. Ora che ci era ben chiaro quali fossero le bambine, scoprivamo che non c’erano mai quando si giocava in piazza, ma anche semplicemente in bicicletta o a sedersi su un muretto a chiacchierare. Dove erano, cosa facevano? Le matelòte si materializzavano solo per la messa nel settore destro della chiesa. Questa era una separazione invalicabile. Maschi nella parte sinistra e femmine nella destra. Finita la messa sparivano. In realtà qualche fugace apparizione femminile nel gruppo degli spiazaroi ogni tanto capitava, ma veniva subito neutralizzata da un collaudato sistema di spionaggio che allertava le mamme. In breve tempo la svergognata, così veniva definita, veniva intercettata e portata via.
Raggiunta l’età per guidare il trattore, quindi finite le scuole elementari, si diventava, sempre separatamente, putelòti e putelòte e poi putèi e putèle. La variante matèi e matèle non la capivo bene, ma mi pareva che fosse riservata a ragazze o ragazzi di bell’aspetto. A quell’età iniziavamo a frequentare il bar del paese ma nemmeno lì le putèle si facevano vedere e a peggiorare la situazione di noi azzurri ci si misero anche le scuole medie degli Artigianelli: rigorosamente maschili. Eravamo oramai rassegnati.
Sembrava che solo l’ingresso alle scuole superiori ci avrebbe permesso di vedere l’evoluzione dei grembiulini rosa, quando, il 23 novembre del 1978 aprì vicinissimo a noi, un certo Paradisi Star, che avrebbe per sempre cambiato le nostre vite.
Ma questa è un’altra storia che vi racconterò a breve.
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